Mentre una setta di tifosi del Lecce scrive poesie d’amore per Liverani, il tecnico romano va via, non come avrebbe voluto, con una lauta buonuscita, ma con una dolorosa porta in faccia. Notate un po’ di soddisfazione in questa frase? Probabilmente avete un pizzico di ragione. Io Liverani lo avevo già cancellato da un po’ e immaginavo che sarebbe arrivato il momento in cui il suo ego, la sua ambizione e il suo disinteresse per il Lecce sarebbero usciti fuori tutti in una volta.
Vorrei scrivere un post strappalacrime pure io, giusto per non passare da ingrato nei confronti di quell’allenatore che “ci ha portati dalla C alla A facendo, poi, un quasi miracolo“, ci ho provato, ma la pagina è rimasta bianca ed ho rinunciato.
A proposito cos’è un “quasi miracolo”? Dovremmo chiedere alla Crusca se si può scrivere tutto attaccato “quasimiracolo“. Così Liverani entrerebbe nella storia dell’ USLecce non solo per essere stato l’allenatore del sedicesimo campionato di A, del ventisettesimo di serie B, il secondo allenatore ad aver fatto il doppio salto, il primo ad aver subito tanti gol ma anche citato nei dizionari alla voce quasimiracolo.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale su cosa sia un quasimiracolo, me lo son chiesto spesso in questi giorni. Son giunto alla conclusione che è un miracolo venuto male. Immaginate un Santo apparire ad un uomo che non muove le gambe e dirgli “da domani forse potrai camminare”, l’uomo si alza la mattina e muove le dita dei piedi. Ed ecco il quasimiracolo, una sorta di speranza finita male, ma ci hai sperato.
Si, lo so, il paragone è un po’ ardito, ma se qualche tifoso può avere una storia d’amore con Liverani io posso paragonarlo ad un Santo.
D’altra parte neanche i Santi sono perfetti (spero non sia blasfemia) e se Sant’Agostino diceva “Signore, rendimi casto ma non subito” possiamo attribuire a Liverani qualche piccola marachella, come accordarsi con un’altra squadra mentre ha un contratto con quella che lo ha fatto conoscere e crescere come allenatore. Signore, rendimi etico ma non subito.
Però una piccola premessa è doverosa, non c’è un quasimiracolo senza un miracolo in cui sperare e non ci può essere miracolo senza una situazione disperata. In questo caso il miracolo era la salvezza. Un’evidente iperbole pronunciata la prima volta da Sticchi Damiani, che, probabilmente resosi conto che poteva essere interpretata male, ha corretto successivamente parlando meno enfaticamente di “impresa”. Ma ormai il miracolo era sdoganato e quale miglior cibo per chi si nutre quotidianamente di ego e nutella? Liverani ha preso la palla al balzo e la parola “miracolo” è stata legittimata e ripetuta allo sfinimento.
Insomma salvarsi era un miracolo e lui il Messia.
Si, lo so, poche righe fa era un Santo, ma in un articolo così lungo ha fatto carriera.
Da qui una serie di equivoci più o meno voluti e poi riportati dalla stampa, più o meno consapevolmente, che vedeva il nostro come il condottiero senza paura di un’armata Brancaleone capitata lì per caso. In tutto ciò chi ci ha guadagnato? Si, avete indovinato, il Santo/Messia/Condottiero che, per rinforzare il concetto, rincarava la dose dopo ogni intervista, ricordandoci quanto sono scarsi i suoi giocatori, che lui non può allenare la tecnica, che ciò che sta ottenendo col materiale a disposizione è già tanto.
Quale messaggio è passato? Molto semplicemente che tutti i meriti delle vittorie erano suoi, tutte le colpe delle sconfitte erano dei calciatori inadeguati e quindi, indirettamente, della Società.
Credo che molti tifosi non abbiano notato il paradosso di questa situazione perché in buona fede, anche quelli che non accettano nessuna opinione e passano le giornate a scrivere sdolcinati post amorosi. Ma è possibile che la Società non se ne sia accorta?
Probabilmente fino all’altro giorno aveva agito con pragmatismo e finché c’erano i risultati (e i quasirisultati) avrebbe soprasseduto a questa situazione, come alle bizzarre richieste di un allenatore che aveva tanta libertà di movimento come nessun predecessore aveva mai avuto.
Che però la retrocessione sia stata tutt’altro che indolore per la Società, come lo è stato per quasi tutti noi, era evidente. Ci si può attaccare alla sfortuna, alla congiuntura astrale sfavorevole, al Covid, agli arbitri ma una retrocessione è una retrocessione, con tutte le conseguenze, anche finanziarie, che comporta. Le retrocessioni avvengono, non è un dramma, ma aver lottato fino all’ultima giornata è una magra consolazione. Certo, la salvezza era difficile, ma aver perso quasi tutti gli scontri diretti è una grave colpa che è passata quasi inosservata. Ma nonostante tutto, caso più unico che raro, la Società aveva continuato a dare fiducia a Liverani pure dopo la retrocessione, forte anche dell’ampio consenso del tecnico tra i tifosi, fiducia a quanto pare tradita in pochi giorni.
Ora inizia una nuova storia, si spera un nuovo ciclo, e son certo che la prossima volta che andremo in A sarà per salvarci, anche compiendo un’impresa, ma senza scomodare i miracoli.
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